Studio Arcobaleno

IL PIANTO NEL BAMBINO PICCOLO

A differenza di quanto si è soliti credere, il pianto dei bambini piccoli non è sempre e soltanto l’espressione di un malessere o di un disagio, ma è bene ricordare come esso costituisca inizialmente una delle poche modalità attraverso le quali il bambino può sperimentare i vari stati psico-fisici e comunicarli all’altro. Il pianto può dunque rappresentare una delle prime forme di comunicazione del bambino.

Considerare il neonato come un individuo in evoluzione ed imparare a conoscerlo significa, quindi, anche cercare di comprendere i significati del suo pianto. Sebbene, infatti, un bambino possa piangere per molte ragioni diverse, imparare a differenziare tra una forma e l’altra, cercando di evidenziarne le diverse caratteristiche, può aiutare gli adulti a conoscere questa primordiale forma di comunicazione.

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Il pianto assume dunque una duplice funzione: da una parte permette la comunicazione dei propri vissuti, dall’altra consente di fare una prima iniziale esperienza delle proprie emozioni. Mai come nella primissima infanzia, infatti, il bambino ha la possibilità di sperimentare la tristezza, la rabbia e la soddisfazione con un’intensità pari a quella possibile nei primi mesi di vita.

Di seguito verranno descritte soltanto alcune forme di pianto, che variano in base all’emozione provata in quel momento dal bambino.

-          PIANTO DI SODDISFAZIONE: costituisce un modo attraverso il quale il bambino esercita il proprio corpo. Sebbene si sia abituati a pensare al pianto come a qualcosa legato ad un evento sfavorevole, in realtà per il bambino piccolo, anche la respirazione e la possibilità di produrre suoni di diversa intensità e timbro, costituiscono, inizialmente, oltre che una vera e propria conquista, anche un modo per rassicurarsi, fare esperienza di sé, del proprio essere e della propria corporeità. Il pianto può assumere, dunque, anche una funzione di utilità, nel momento in cui viene utilizzato dal bambino per calmarsi e tranquillizzarsi. Con il tempo, la reazione che l’ambiente assume nei confronti di questo “esserci” permette al bambino di comprendere che le proprie azioni hanno il potere di attivare le persone che lo accudiscono provocandone una risposta. Crescendo, il bambino imparerà a dire con le parole quello che in passato esprimeva attraverso il pianto. Proprio per l’utilità che questa “qualità” di pianto può assumere, gli adulti che hanno modo di ascoltarla spesso la sentono come qualcosa alla quale non è necessario mettere fine repentinamente.

-          PIANTO DI DOLORE: è un pianto diverso da quello di soddisfazione. In questo caso, infatti, le grida penetranti del bambino segnalano in modo piuttosto evidente il suo bisogno di aiuto. Questa tipologia di pianto, talvolta, può essere accompagnata da altre forme di comunicazione corporea, come tensione e contrazione degli arti, mettersi la mano in bocca, coprirsi l’orecchio: azioni attraverso le quali il bambino tenta di comunicare l’origine del proprio dolore. Udire questa tipologia di pianto, generalmente, porta le persone che lo ascoltano ad attivarsi repentinamente per fare qualcosa che possa costituire un sollievo per il bambino, per esempio rassicurandolo e facendogli capire che sappiamo quello che prova.

Simile al pianto di dolore, può capitare a volte di sentire il pianto di paura, che origina di pari passo alla capacità del bambino di fare esperienza e mantenere memoria delle sensazioni sgradevoli che può trovarsi a vivere. Questa tipologia di pianto non deriva dal dolore, bensì dalla previsione di una sofferenza. Spesso capita, per esempio, di sentir piangere i bambini quando arriva il momento in cui è necessario cambiarli. Ciò accade perché con il tempo il bambino impara che il momento in cui verrà svestito gli procurerà un abbassamento della temperatura corporea che egli avverte come spiacevole. Anche in questo caso ciò che è importante non è tanto cercare di evitare al bambino questa esperienza, che come tante altre risulta inevitabile, quanto rassicurarlo sul fatto che comprendiamo il suo vissuto e siamo in grado di accoglierlo.

 

-          PIANTO DI RABBIA: probabilmente il più semplice da riconoscere, esso ha la funzione di rappresentare in modo piuttosto chiaro l’ira del bambino. Si manifesta spesso senza lacrime, con grida, calci, morsi che stanno ad indicare la ferrea volontà del bambino di distruggere e danneggiare ciò che lo circonda. Ebbene si, potrà sembrare strano, ma anche bambini così piccoli possono provare quel sentimento cui tutti siamo avvezzi di rabbia furiosa. In questi casi è estremamente importante non farsi spaventare e potersi mostrare forti, permettendo al bambino di fare esperienza del fatto che non necessariamente quel sentimento di distruttività dal quale si sente pervaso internamente corrisponderà ad una reale distruzione nel mondo esterno.

 

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-          PIANTO D’ANGOSCIA: è caratterizzato da sentimenti di profonda tristezza ed assume spesso una qualità “musicale”. Esso assolve la funzione di segnalare che nel bambino si è svolto un processo fondamentale, ovvero quello del dispiacersi e comprendere il proprio ruolo negli eventi che lo circondano. La possibilità di fare una reale ed autentica esperienza della tristezza permetterà che in futuro si sviluppino i sentimenti della gratitudine e del dispiacere. Sono questi sentimenti che porteranno in futuro il bambino a comprendere il significato di alcune parole, come, per esempio, “grazie”. In presenza di questa particolare forma di pianto è spesso inutile cercare di distrarre il bambino con giochi o altro, la tristezza infatti ha bisogno di tempo per fare il suo corso, l’importante è che il bambino sappia che vi è un adulto presente capace di tenerla insieme a lui.

 

Per concludere vi è, tra gli altri, un’altra particolare forma di pianto, il PIANTO DI DISPERAZIONE. Esso rappresenta un’evoluzione delle precedenti forme ed origina quando non vi è un adulto partecipe dell’esperienza del bambino e quest’ultimo viene lasciato solo a fronteggiare i propri vissuti e le relative emozioni. Non è un pianto che si ascolta di frequente nelle case, mentre è tipico dei luoghi nei quali i bambini sono lasciati a se stessi e non hanno la fortuna di avere un adulto di riferimento che risponda ai loro bisogni.

 

Dott.ssa Francesca Zaza

Psicologa – Psicoterapeuta

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